Ottobre 2002 – Numero 79
E’ incontestabile che la forma dello scambio costituisca la ferrea regola delle azioni umane. Se è vero che per ottenere qualche vantaggio è richiesto comunque un tributo, una concessione, un prezzo, quando si tratta direttamente di relazioni umane ogni operazione vantaggiosa consiste generalmente in una partita doppia di dare e avere.
In sostanza, i rapporti umani si basano quasi sempre sulla reciprocità dell’atto vantaggioso. Ciò è quasi tautologico, poiché il concetto stesso di relazione implica la reciprocità, almeno nella misura in cui un soggetto riconosca all’altro la piena capacità di agire.
Si può vedere questo nelle svariate forme dei patti e nei contratti, che suppongono che ci si scambi il reciproco riconoscimento di persone libere e dunque responsabili. Patti e contratti indicano che la relazione stabilita fra due persone le fa interagire per un mutuo vantaggio. Tale vantaggio è determinato da azioni che dovrebbero essere equivalenti, cioè avere lo stesso valore. Il vantaggio è quindi o dovrebbe essere di pari misura. Ciò che il patto e il contratto determinano è la forma del vincolo, che fa sì che i contraenti restino legati in modo permanente, rendendo il vantaggio duraturo.
Una variante interessante dello scambio è data dalla scommessa. Mentre il patto e il contratto si basano sulla reciprocità del vantaggio, la scommessa consiste invece nell’esclusione di tale reciprocità. Pertanto essa determina in genere un vincente e un perdente. La peculiarità di questa forma è quella di concepire il vantaggio di un contraente come equivalente allo svantaggio dell’altro. E’ chiaro che alla base della scommessa vi è l’imprevedibilità del caso o della sfida, benché anch’essa faccia parte di un sistema di regole.
La forma di relazione più caratteristica è costituita però dal credito e dal debito. La coppia creditore/debitore consiste in un vincolo, che non è legato al perdurare del reciproco vantaggio, ma esclusivamente al tempo della restituzione. Il creditore, per lo svantaggio che temporaneamente subisce, ottiene il diritto di vincolare a sé il debitore, avendo attribuito un vantaggio a qualcuno senza pretenderne l’immediata restituzione. Pertanto la figura del creditore, essendo fondata sul futuro, è di natura esclusivamente morale: per questo motivo, le leggi dispongono un complesso di garanzie per obbligare il debitore alla restituzione.
Bisogna però distinguere le forme materiali di credito da quelle esclusivamente spirituali. Le prime sono l’istituzione del prestito, e la condizione di chi subisce l’azione illecita della sottrazione. E’ noto che colui che presta, si attende prima o poi la restituzione, con o (raramente) senza interessi, e la reciprocità dell’azione è vincolata a un vero e proprio contratto o comunque a un patto. D’altra parte, anche chi subisce una sottrazione pretende la restituzione del sottratto, sia questo di natura materiale o di natura spirituale. La persona che sottrae ottiene, per mezzo della frode, un vantaggio a esclusivo svantaggio di chi subisce la sottrazione. Perciò la sottrazione è affine alla scommessa, ma non possiede il carattere aleatorio di quest’ultima.
Le forme esclusivamente spirituali del credito fanno parte delle comuni relazioni sociali e consistono in un’azione, che richiede una restituzione di pari valore spirituale. Altrimenti si ha la permanenza del debito da parte di colui che ha ricevuto il vantaggio. Infatti se il credito si fonda sul futuro e non sulla immediatezza della restituzione, può accadere che la durata del debito resti indeterminata, specialmente quando il vantaggio sia di natura esclusivamente spirituale. Questo accade quando il debitore dimentichi o trascuri la necessità della restituzione, oppure quando non abbia la possibilità o i mezzi per compiere la restituzione.
In tutti i casi, se la condizione del creditore diviene illimitata nel tempo, essa tende a fissare la figura del debitore in colui che ha ricevuto il vantaggio e non può o non vuole restituirlo. Mentre cioè di norma credito e debito sono condizioni solo temporanee, con scadenza stabilita, quando il debito diviene inestinguibile la figura del debitore esce dal tempo e diviene a sua volta permanente. E a questo punto subentra, con il concetto di debito inestinto e illimitato, quello di colpa. La superiorità morale del creditore implica un rapporto in cui il debitore ha perduto il riconoscimento della libertà che stava alla base dello scambio. La libertà gli viene tolta. Ciò avviene certo anche nel caso della sottrazione: ma in questo caso la colpa acquista prevalentemente un carattere penale. Invece nel debito spirituale, che appartiene a un ambito non riconducibile alle leggi scritte, la colpa fissa la relazione reciproca tra creditore e debitore come perdita da parte del secondo del riconoscimento di libertà nei confronti del primo.
Il concetto di colpa consiste in queste due caratteristiche, la rigida immobilità e la privazione del riconoscimento di libertà. A ben guardare, le due caratteristiche sono una sola, poiché la fissità è esattamente la negazione della libertà. Così la colpa rappresenta un debito che non ha soluzione. A sua volta però il creditore acquista, nei confronti del debitore, un potere. E’ precisamente da questo potere che dipende il vincolo della colpa. Ogni stato di colpa suppone naturalmente la dipendenza da un potere, ossia la sottrazione materiale o spirituale della libertà a beneficio di un potere.
Questa regola sembra tuttavia venire violata dal dono. Anche il dono è una relazione, ma non suppone la reciprocità né dell’azione né del vantaggio. Chi dona, lo fa per un vantaggio altrui, però senza vantaggio proprio. Ma qual è la logica del dono? Questo è un punto interessante. Il dono, rispetto al credito, ha la caratteristica di non basarsi sul tempo di restituzione. Infatti il credito affida la sua natura di scambio al futuro determinato, mentre il dono è nell’assoluto. Anche la colpa, in un certo senso, è atemporale, perché possiede un carattere di assolutezza, ma non è eterna, perché essa vuole fermare il tempo, non liberarlo nell’eternità.
Così la colpa appare come l’esatto contrario del dono. Il dono prescinde dalla forma dello scambio, non c’è patto né contratto, non stabilisce la coppia del creditore e del debitore, non ha l’effetto di fissare una colpa in dipendenza da un potere. Colui che riceve il dono non è obbligato da un vincolo, perché se lo fosse la superiorità del donatore tornerebbe a sottomettere il beneficato nella forma del debito. Tuttavia qual è l’effetto del dono? Essendo un atto che non limita il suo beneficio a una durata di tempo, è, diciamo, un simbolo dell’eternità.
Che cos’è l’eternità? Certo non la durata indefinita del tempo, la quale anzi farebbe esistere più a lungo proprio ciò che cerca di negare. D’altra parte non è possibile concepire l’eternità come uno stato di arresto, un bloccarsi del movimento in un punto immobile. Il suo riferimento invece è la libertà, che né la finitezza temporale né l’immobilità atemporale possiedono. La libertà, che nella forma dello scambio costituisce solo un riconoscimento astratto, pregiudiziale e condizionato, col dono è invece fatta esistere temporalmente.
Infatti colui che offre un dono (quando si prescinda dal meccanismo sociale del regalo che in pratica è la genesi di un credito o l’estinzione di un debito) non vincola il beneficato ma gli fa apparire un vantaggio indipendente dai limiti del tempo, mentre invece lo scambio suppone solo una libertà che, in concreto, viene negata dalla stessa necessità della regola della reciprocità. In altre parole, il dono rompe la legge della necessità e la sostituisce con quella di una libertà che non preesiste come semplice riconoscimento, ma si realizza con l’atto del donare. Proprio la libertà rende la natura del dono così sorprendente ma anche difficile da riconoscere veramente, persino da accettare.
m.c.