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N.8 – Chi è il Proprietario della Banca d’Italia?

N.8 – Chi è il Proprietario della Banca d’Italia?

 

La domanda non è oziosa.

Dopo i drammatici casi Enron, WorldCom, Bond Argentina, Aol, Cirio ed ora Parmalat, il Governo sta pensando di modificare il sistema dei controlli che, evidentemente, non ha funzionato.

In tale prospettiva, ci chiediamo e chiediamo:

“E’ accettabile che siano le banche, oltre alcune assicurazioni, a possedere le quote di partecipazione al capitale (ben 156.000,00 euro!) di Bankitalia (creando un evidente conflitto di interesse tra controllore e controllati)?”

Attualmente (fonte: Ricerche & Studi di Mediobanca, 2003, pag. 1149), al capitale di Bankitalia partecipano: GRUPPO INTESA al 27,2%, GRUPPO SAN PAOLO IMI al 17,23%, GRUPPO CAPITALIA al 11,15%, GRUPPO UNICREDITO al 10,97%, ASS. GENERALI al 6,33%, INPS al 5%. Seguono, per il rimanente 25% circa del capitale, altre banche ed assicurazioni, con partecipazioni minori.

L’assemblea di Bankitalia (in cui banchieri, soprattutto, assicuratori ed altri enti “pesanti” votano) nomina il Consiglio Superiore, i cui componenti nominano e revocano il Governatore, con deliberazioni (che debbono essere) approvate con decreto del Presidente della Repubblica.

Stante l’evidente condizionamento del controllore da parte dei controllati, il quadro che ne consegue è a dir poco inquietante. Ne sono oggettiva riprova le gravi vicende di questi giorni.

Le banche, in particolare quelle italiane, hanno dimostrato una spiccata tendenza a dolosamente operare in modo da sottrarsi alla normativa che tutela il risparmio e gli investimenti finanziari ovvero a sfruttarne alcune palesi “smagliature”. E’ il caso della collocazione, presso gli investitori, di bond riservati agli investitori istituzionali (cioè, a loro banche), tanto da esserne, a ragion veduta, esclusi dai Comitati dei Creditori nelle procedure a carico delle aziende del Gruppo Tanzi-Parmalat.

Appare quindi importante che nell’organizzazione del nuovo sistema di controllo, quello operato da Bankitalia sia sottratto ad ogni influenza del sistema bancario, proprio per riconoscergli quell’indipendenza che tutti i commentatori sollecitano, senza peraltro dare prova di conoscenza dell’attuale situazione: da vicende così gravi per il risparmio si debbono infatti trarre lezioni rigorose per tutti, nel senso che nessuno può essere lasciato nella sua torre d’avorio, scaricando il rischio sui meno avveduti (nel caso di specie, la maggioranza dei risparmiatori).

Va tenuto presente che, ad essere a rischio, non sono solo i risparmiatori ma l’intero sistema economico, compresi gli imprenditori che svolgono correttamente il proprio lavoro: appare logico domandarsi che cosa capiterà, nei prossimi mesi, quando un’azienda italiana si presenterà sui mercati internazionali per quotarsi in borsa ovvero per ottenere crediti.

Quindi, sono del tutto fuori luogo le difese acritiche ed “istituzionali” di Bankitalia o Consob: poiché i controlli non hanno funzionato, nulla potrà continuare come prima.

Quali le ricette?

1. Le società di revisione ed i revisori dei conti dovranno essere scelti da un ente diverso rispetto alla società controllata, da tale ente dovranno esser retribuiti (attingendo ad un fondo finanziato dai soggetti controllati) ed a tale ente – oltre gli attuali ambiti – dovranno riferire. Gli incarichi non dovranno avere durata superiore a tre anni presso ogni soggetto controllato.

2. Deve essere rimosso lo scandalo della commistione tra attività di consulenza ed attività di revisione. Basta con il “giochino” di costituire due società di capitali che “lavorano” in parallelo.

3. Le attività di consulenza e di revisione dovranno essere svolte esclusivamente da soggetti abilitati in quanto iscritti ad albi professionali che ne garantiscano la/il formazione/aggiornamento ed il rispetto dei principi deontologici.

4. Le società quotate e quelle che ricorrono al risparmio attraverso emissione di obbligazioni, anche convertibili ed anche nei limiti dell’attuale articolo 2412 codice civile, devono possedere assets adeguati (e facilmente verificabili/dimostrabili) nel territorio dell’Unione Europea, con conseguente divieto – quanto meno sino a copertura degli impegni assunti nei confronti del mercato – di mantenere risorse (know-how, marchi, titoli, disponibilità liquide, eccetera) nei cosiddetti “paradisi fiscali”, anche attraverso società controllate.

5. Dalla normativa vigente dovranno essere eliminate tutte le previsioni che consentono a banche ed intermediari di non verificare l’effettiva comprensione del rischio e la capacità di sopportazione dello stesso da parte del risparmiatore/investitore che semplicemente si autocertifichi “esperto” (A leggere i documenti fatti sottoscrivere loro da alcune/i banche/intermediari che, evidentemente, brillano per disinvoltura, tutte le nonne e le casalinghe italiane sono diventate vere esperte del mercato borsistico, derivati compresi)!

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