I.P.S.E.G. | Istituto Piemontese di Studi Economici e Giuridici
Via Bertola, 2 - 10121 Torino
Guerre di Liberazione

Guerre di Liberazione

Marzo 2003  –  Numero 85

L’invasione aerea e terrestre dell’Iraq è stata giustificata come una guerra di liberazione. La distruzione delle città, le migliaia di uccisi militari e civili, la guerra civile, il disordine e la spaventosa penuria che ne sono derivati, sono i correlati tipici di questa specie di guerra che dal punto di vista ideologico e mediatico ha avuto due fasi: nella prima erano presentate le riprovevoli azioni del governo che bisognava abbattere (le famose armi di “distruzione di massa” biochimiche e forse atomiche, l’incendio dei pozzi, lo sterminio della popolazione); nella seconda si presentava il quadro successivo cioè l’effetto della guerra di liberazione (la folla festante delle città che va incontro ai liberatori, l’autodeterminazione, l’ordine democratico, la partenza dei liberatori). Infatti una guerra di liberazione si annuncia, in genere, col proposito di venire a salvare qualcuno promettendogli in soprappiù un futuro di gran lunga migliore. Perciò qualche volta l’impresa militare, come un’iniziativa del Rotary, si orna dell’appellativo di “umanitaria”.

La differenza tra una guerra non ideologica e una guerra ideologica sembra essere questa: che la prima è una guerra di difesa per la libertà propria, la seconda è una guerra per la liberazione di qualcun altro. In questo ultimo decennio gli Stati Uniti d’America hanno gradualmente elaborato una dottrina che è passata attraverso quattro fasi: la trasformazione della NATO in strumento offensivo e non più solo difensivo, la sospensione dei propri obblighi internazionali, l’ignoranza della sovranità degli altri Stati, la guerra preventiva. Si tratta certamente di termini strumentali alla loro concezione della guerra di liberazione.

Non è inutile ricordare quale sia l’origine della concezione ideologica della guerra come liberazione dei popoli: la rivoluzione francese e il bonapartismo. Napoleone ereditò l’idea giacobina della guerra di popolo come liberazione degli altri popoli dal dispotismo delle monarchie e la diffuse in tutta Europa, al seguito delle sue armate, dalla Spagna alla Germania e alla Russia.. C’è poi una continuità evidente tra il Manifesto di Marx e l’idea trotzskista-leninista della guerra agli Stati capitalisti, attraverso la rivoluzione in tutti i paesi. Questo non comportava la guerra tra Stati, ma la guerra civile portata all’interno degli stessi. Tuttavia Stalin prima e poi Mao rivendicarono allo Stato comunista una missione mondiale di liberazione dei popoli. Nel 1917 W.Wilson dichiarò guerra alla Germania “nel nome della democrazia”.

La concezione ideologica della guerra, da parte sia della democrazia americana che di quella sovietica, si è rivelata però durante la seconda guerra mondiale. Come è noto gli eserciti USA e quelli dell’URSS attraversarono l’Europa da ovest, da sud e da est come eserciti di liberazione. Entrambi organizzarono una “resistenza” locale, ovunque tranne che in Germania, allo scopo di accentuare questo carattere di “liberazione”. Come guerre di liberazione vengono ricordate quelle che allora piegarono la Germania il cui esercito si era spinto fino alla Manica e in Russia. Siccome però gli alleati della Germania (come l’Ungheria o l’Italia) furono costretti alla resa prima della Germania stessa, il carattere della “guerra di liberazione” consentì a paesi come l’Ungheria o l’Italia la postuma legittimazione del cambiamento politico imposto dai vincitori: che era il comunismo per tutti i paesi liberati dai Sovietici, la democrazia dei partiti per quelli liberati dagli americani.

Il caso italiano ci interessa molto da vicino perché, come l’Iraq prima della recente invasione, anche l’Italia nel 43 era ormai un paese moribondo. La Sicilia venne invasa nel luglio del 1943 dopo che gli Alleati si erano accordati a Casablanca per la resa incondizionata di tutti gli Stati aderenti all’Asse. Fu infatti nella conferenza di Casablanca, il 24 gennaio del 43, che le Nazioni Unite (cioè USA e Gran Bretagna con l’assenso dell’URSS) decisero lo sbarco in Sicilia e in Normandia e contemporaneamente la costituzione di un “Allied Military Governement” (AMG) nei cinque paesi assegnati all’invasione e all’occupazione militare anglo-americana: Italia, Francia, Grecia, Austria e Germania.

Dopo una consultazione tra Roosvelt e Churchill nel maggio 43, il generale Eisenhower ricevette un telegramma ad Algeri in cui era scritto: “Non possiamo certamente dire agli italiani che se cesseranno le ostilità avranno la pace con onore. Non possiamo rinunciare alla resa incondizionata. Possiamo soltanto dir loro che saranno trattati dagli Stati Uniti e dai britannici con umanità e con l’intenzione che il popolo italiano si costituisca in nazione secondo i principi dell’autodeterminazione. Quest’ultima, naturalmente, non deve includere alcuna forma di fascismo o di dittatura”. Dal 10 luglio del 1943 in Sicilia gli anglo-americani sbarcarono 500.000 uomini.

Lo scopo dell’AMG era quello di “garantire la sicurezza delle forze di occupazione e delle loro vie di comunicazione, governando una nazione occupata e presumibilmente ostile” e subordinando a questi obiettivi militari ogni altro fattore riguardante la popolazione civile. Le disposizioni emanate dal Gen. Eisenhower prevedevano che l’AMG utilizzasse le risorse economiche del territorio occupato e assecondasse gli sforzi politici e militari in vista delle operazioni militari. Perciò l’AMG, per la prima volta sperimentato in Italia, abbracciava sei sezioni: legale, finanziaria, rifornimenti civili, salute pubblica, sicurezza pubblica, proprietà del nemico. Vi furono aggiunte la sicurezza, le belle arti, l’educazione e le relazioni pubbliche. Il 10 luglio il generale americano Poletti si insediò assieme al commodoro inglese Benson nella sede dell’AMG disposta a Palermo. Il territorio italiano passava sotto un governo militare alleato e la sede dell’AMG si sposterà successivamente a Napoli, Roma, Firenze, Milano al seguito dell’occupazione militare del territorio da parte degli anglo-americani.

Le vicende politiche italiane che portarono alla crisi del governo fascista e all’8 Settembre 1943, a partire dallo sbarco alleato in Sicilia, sono state esposte dagli studi di De Felice. Ma è un fatto che proprio dopo il crollo del regime fascista gli americani abbiano scatenato sulle città italiane i più tremendi bombardamenti mai subìti fino a quel momento dal nostro paese. I giorni di luglio e soprattutto agosto del 43 sono segnati dai bombardamenti di Roma, Milano, Torino: essi buttarono giù fabbriche, interi quartieri di abitazione civile, chiese, palazzi, opere d’arte, causando migliaia di morti fra la popolazione. Ma anche a Napoli, e nelle città del sud (Foggia venne spianata). A nord venne distrutta un’intera parte di Pisa, che ebbe quasi mille morti. La distruzione dell’Italia si intensificò da quel momento in poi. Era un’offensiva di bombardamenti tattici miranti sia alle infrastrutture che alla popolazione civile. I bombardamenti alleati sull’Italia proseguirono fino alla fine di aprile del 45. Il simbolo di tali distruzioni è la millenaria abbazia di Montecassino, rasa al suolo il 16 febbraio del 44. La liberazione dell’Italia si annunciava anche sotto il segno della distruzione dal cielo.

La resa dell’Italia all’alleanza anglo-americana-sovietica avvenne sotto gli ulivi in gran segreto dalle parti di Siracusa il 3 di Settembre. Ma fu preceduta da un vano doppio gioco, in cui Badoglio s’illuse di poter contrattare solo un armistizio con gli anglo-americani e contemporaneamente far credere ai tedeschi di voler rispettare gli impegni dell’alleanza. Ma gli Alleati non gli lasciarono scelta: volevano la resa incondizionata e nel frattempo bombardarono buona parte della cittadina di Frascati massacrandone gli abitanti. Anche dopo la firma Badoglio continuò a trascinare il doppio gioco. In un memorandum Eisenhower lo avvertì: “Se non adempirà agli obblighi dell’accordo firmato, vi saranno serie conseguenze per il suo paese”. Infine gli americani, spazientiti, nella sera dell’8 Settembre resero pubblica la resa da radio Londra e radio Algeri. Così Badoglio subito dopo fu costretto a fare le note dichiarazioni da radio Roma, con la reticente allusione a possibili reazioni contro “attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Invece l’armistizio includeva una clausola catastrofica per noi, un autentico capestro. Ci obbligava a colpire l’alleato tedesco, a partire da una situazione a dir poco ignominiosa e suicida a un tempo. Un telegramma inviato a Badoglio congiuntamente da Roosvelt e Churchill tra l’altro recitava: “I tedeschi verranno estirpati dalla vostra terra e voi, contribuendo alla liberazione, vi collocherete di nuovo tra i veri e provati amici del vostro paese.. Approfittate di tutte le occasioni. Colpite con forza e colpite nel segno. Abbiate fede nel vostro futuro. Tutto andrà bene. Marciate a fianco dei vostri amici americani e britannici nel grande movimento mondiale verso la Libertà, la Giustizia e la Pace”.

La figura di Badoglio, con quella del generale Castellano che venne mandato avanti a trattare segretamente, è stata duramente giudicata dalla storia. Per il Mussolini della Repubblica sociale il generale Badoglio (con il re) è sinonimo di “tradimento” e spiega il senso spregiativo dell’“otto settembre”. Per i sei partiti di Bari, cioè del “governo” ciellenista del Sud del giugno 44, Badoglio fu visto come un inciampo al processo di radicalizzazione “antifascista” della guerra. Eppure bisogna capire la trappola che rappresentò per la monarchia fuggiasca l’atteggiamento drastico, anzi decisamente cinico degli anglo-americani. Badoglio (con il re) sperava di far uscire semplicemente l’Italia dalla guerra con una resa separata e onorevole. Ma imponendo il diktat con la clausola dell’ostilità immediata nei confronti dell’ex-alleato tedesco, gli anglo-americani sapevano di tagliare al re ogni via d’uscita, gettando il nostro paese nel più atroce dei destini: l’odio dei tedeschi, il disprezzo universale, la trasformazione del nostro paese in un campo di battaglia, l’inevitabile guerra civile fra gli italiani. La nostra penisola doveva servire da base per i bombardamenti a nord: in Francia, in Germania e nei Balcani.

Il generale Castellano firmò a nome del re e di Badoglio quello che fu definito il “breve armistizio”, in 12 punti. Essi obbligavano l’Italia a rompere ogni impegno preso con l’alleato tedesco impedendogli ogni azione bellica contro gli Alleati, a consegnare l’intera flotta da guerra e l’aviazione, a restituire i prigionieri anglo-americani, a cedere tutto il proprio territorio, a servire agli interessi di guerra alleati. Il 29 dello stesso Settembre, su un incrociatore inglese nelle acque di Malta, lo stesso Badoglio firmò nelle mani del gen. Eisenhower il secondo armistizio, quello definito “lungo”.

Già esposte in agosto durante i contatti segreti, le pagine del “lungo armistizio” (che comprendeva 44 punti), oltre alla conferma di quanto già inserito in quello “corto”, stabilivano ulteriori obblighi per il nuovo “governo” italiano di Badoglio, rifugiatosi a Brindisi con il re Vittorio Emanuele e, si badi, non riconosciuto giuridicamente dagli Alleati, ma solo usato come una mediazione de facto. Tra l’altro: la smobilitazione di ciò che restava dell’esercito, la trasmissione di tutte le informazioni relative all’alleato tedesco, la consegna di tutto il naviglio mercantile e da pesca, la cessione dell’uso dei porti. L’Italia era tenuta a conformarsi alle disposizioni alleate per il controllo e la censura della stampa, della radio, dei teatri, del cinema, a mettere a disposizione tutto il territorio nazionale, le centrali elettriche, le raffinerie, le ferrovie e ogni altro mezzo di comunicazione. Inoltre si stabiliva che ogni atto pubblico amministrativo e giudiziario fosse controllato dagli alleati, che il Tesoro e le banche fossero nelle mani degli occupanti. Una parte del “lungo” armistizio concerneva poi sia Benito Mussolini (per il quale Roosvelt meditava una Norimberga italiana) che i “suoi principali associati fascisti”, imponendo al governo italiano di arrestarli e consegnarli agli alleati, sulla base di una lista che doveva essere trasmessa. Oltre a questo il documento disponeva la soppressione di ogni aspetto, istituzionale, ideologico e culturale che avesse carattere fascista. Anche i programmi della scuola italiana saranno sottoposti alla censura alleata.

Per tradurre immediatamente in pratica questa complessa serie di disposizioni, il documento elaborava una nuova istituzione, la Commissione Alleata di Controllo (ACC) che iniziò a operare nel novembre 43 con giurisdizione “nell’Italia del Re” allo scopo “di far valere e di mettere in atto lo strumento della resa; assicurare che la condotta del governo italiano si conformasse alle richieste alleate”. Si ebbe dunque un duplice governo alleato che esercitava il suo diktat sul “governo” di Badoglio rifugiato a Brindisi. Essi peraltro si dividevano i compiti e rimanevano in pratica indipendenti l’uno dall’altro.

L’AMG aveva giurisdizione sui territori italiani esclusi dall’amministrazione italiana; l’ACC in quelli restituiti all’amministrazione italiana ma pur sempre sottoposti al potere alleato. L’ACC venne meno solo quando subentrarono i vincoli del Trattato di pace nel 1947. Le elezioni amministrative, il referendum e le elezioni per la Costituente tra maggio e giugno del 46 si svolsero “sotto dettatura”. Anche la nostra Costituzione venne elaborata sotto tutela. Le ultime truppe d’occupazione s’imbarcarono il 14 dicembre del 47.

Ci fu l’asservimento sia giuridico che morale dei governi del Sud (e, un po’ meno, del mutevole tessuto delle formazioni “partigiane” a nord, benché mantenute, armate, e tenute al guinzaglio dagli Alleati). Per distinguere la nuova condizione dell’Italia (dal 13 ottobre) venne inventato il termine di cobelligeranza, inesistente nel diritto internazionale e forse un po’ ironico: c’era la questione dei nuovi prigionieri (in Germania), lasciati senza status legale. Ma poi, nel territorio liberato, non venne concesso di riorganizzare l’esercito: dal disfatto esercito non uscì che un contingente volontario (meno di 5000 uomini con la divisa britannica e male armati), che fu impegnato in un solo combattimento sfortunato verso Cassino. Solo nell’autunno del 44 vennero disposte, almeno sulla carta, delle unità regolari inquadrate nell’esercito Alleato.

Quello che conta, però, sono le conseguenze della svolta decisa dagli Alleati: il disfacimento totale dell’esercito italiano e la sua deportazione in prigionia; la guerra civile fra opposti “stati” (la Repubblica sociale e il Regno del sud) ed eserciti (quello fascista “repubblicano” che sulla carta contò quasi 800.000 tra volontari e coscritti, e le bande “partigiane” con un numero imprecisabile di combattenti); la doppia “occupazione” del nostro territorio da parte dei tedeschi (di fatto) e delle multietniche armate alleate (per diritto); la riduzione di quasi tutta la penisola italiana a teatro di guerra, con effetti devastanti sulla nostra memoria storica; il “trattamento finale” riservato all’Italia, cioè il Trattato di pace con le note, umilianti imposizioni, e la detenzione fino al 1947 dei prigionieri italiani nei camps.

Fra l’estate del 43 e il maggio del 45 l’Italia subì una catastrofe materiale e morale senza precedenti. Oggi pare tutto dimenticato perché corruptio unius est generatio alterius e d’altra parte una menzognera retorica negli anni successivi alla guerra è servita a rimuovere il significato di quegli avvenimenti. La guerra fredda poi indusse gli USA a inquadrarci nel suo sistema di alleanze con la strategia di aiuti economici. Ma non c’è dubbio che gli anglo-americani, rifiutando di consentire agli italiani una resa onorevole e gettandoci contro i nostri alleati, aprirono una fase, quella della “liberazione”, che segnò la fine ineluttabile della nostra storia risorgimentale.

Il nuovo ordine “atlantico” costò all’Italia, oltre alle distruzioni materiali e morali, un altro mezzo milione di morti (fra bombardamenti, combattimenti, rappresaglie, eccidi), l’esodo di intere popolazioni. Oggi si ripete macchinalmente che così abbiamo conquistato la democrazia. E abbiamo spesso visto le immagini delle folle festanti nelle strade perché la guerra era davvero finita. Ma uno storico inglese, E. Morris (La guerra inutile, TEA) a un certo punto osserva (pag.241): “Le forze britanniche [presso il Volturno, nel 44] furono attaccate anche dalla popolazione locale. I commando subirono perdite a causa del tiro dei cecchini che cessarono solo quando il tenente colonnello John Dinford Slater radunò la popolazione maschile e minacciò per rappresaglia un’esecuzione di massa. Più tardi scrisse che il suo intervento li aveva «fatti tornare a casa con una mentalità più disposta alla cooperazione». Ciò può dare l’idea di quanto fosse vera la teoria che voleva gli Alleati accolti come liberatori”.

              m.c.

Comments are closed.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi