Marzo 2002 – Numero 73
Un recente Convegno di “Stato Nuovo” a Torino ha dato occasione di parlare della vitalità del magistero di P. Pera. Ma nessun pensiero al mondo è vivo se non vive realmente come atto dell’esperienza. Il pensiero di P.Pera vive solo in ciò che oggi è vivo per lui. Il fatto che vi siano dei libri e delle pagine stampate o ristampate dei suoi scritti o che un tempo, 30 anni fa qualcheduno l’ha conosciuto e gli ha parlato, è una pia illusione, perché se non c’è vero pensiero da parte di una persona vivente manca l’essenziale e si fa solo commemorazione di ciò che è defunto. Il pensiero è come un’opera musicale che c’è soltanto nel momento in cui si suona e si ascolta. Il vero pensiero di P.Pera non consiste nei suoi scritti che a distanza appaiono ormai come dei semplici appunti di alto livello anzi altissimo, ma semplici appunti, schemi dove il senso è l’indicare la strada non il luogo di arrivo. Per conoscere P.Pera è necessario studiare ciò che i suoi scritti hanno instancabilmente indicato come dei segnali ai crocevia. Fermarsi alle pagine di P.Pera sarebbe un’operazione equivoca, come chi legga i simboli di una carta topografica senza recarsi mai nei luoghi che essa vuole rappresentare con il suo intrigo di segni di ogni genere. Occorre soffermarsi sul modo di pensare di P.Pera, diciamo il metodo genetico. Esso consiste nel fatto che una realtà, se è viva, sviluppa le proprie potenzialità nell’impatto con le altre diverse realtà con cui viene a contatto. Di qui il fatto che P.Pera studia e descrive il pensiero cristiano attraverso i secoli come un incessante e durissimo confronto e scontro con filosofie, eresie, religioni ecc.
Sostanzialmente, P. Pera centra la sua attenzione sul II, III e IV secolo dopo Cristo, senza tuttavia tralasciare del tutto l’epoca che precede la filosofia di S.Tommaso. Oltre sembra che non vada e questo rappresenta certamente il suo limite, o meglio il limite dei suoi studi. E’ chiaro perciò che il quadro dei suoi interessi più vivi diventa esemplare ma questo non significa che perciò tale quadro sia da intendersi come un paradigma insuperabile. Non si può pensare che il Cristianesimo si sia risolto compiutamente, diciamo, fra il II e il XIII secolo e il dopo sia solo difettivo. Sarebbe tradire la stessa mentalità di P.Pera, che vuole invece seguire lo sviluppo del Cristianesimo proprio attraverso il suo movimento di lotta (eh sì, proprio di lotta spirituale!) con le altre posizioni di pensiero. C’è certamente in lui il senso vivo dell’esperienza tomista come sintesi di una lunga vicenda culturale, né mancano richiami continui alla perenne vitalità di tale sintesi. Ed è ben vero che i due secoli delle rivoluzioni moderne hanno oscurato il quadro del Cristianesimo storico, portando l’ombra di un pericolo mortale con le filosofie atee e la azioni volte a eliminare le Chiese dalla vita delle popolazioni. I richiami al tomismo, o se vogliamo all’osservanza tomista, potrebbero perciò apparire dogmatici, sentenziosi, paradigmatici. Ma il punto è che P.Pera offre in realtà una chiave di lettura teologica dei fenomeni culturali. L’originalità del metodo di P.Pera consiste sì, davvero, nel senso di ciò che è perenne attraverso ciò che muta, ma il perenne e il mutare sono legati al succedersi delle generazioni degli uomini e soltanto ad queste: perciò non è solo un mutare apparente, di ciò che in realtà rimarrebbe sempre identico. Il XIX e il XX secolo possono ancora, è vero, essere riferiti a chiavi di lettura tomiste o addirittura patristiche, ma solo a patto che queste chiavi non pretendano di spiegare, ma solo di indicare il livello di lettura dei fenomeni culturali. A questo livello, e solo a questo livello, vi sono delle analogie nel corso dei secoli. Certi tipi di teologia (in relazione o no al Cristianesimo), è vero, restano a lungo sommersi poi in qualche modo riappaiono, si ripetono, facendo rinascere lotte teogoniche già verificatesi in passato. Questo non è fare riferimento a un modello storico ideale, ma cogliere nell’irripetibilità di situazioni come quelle verificatesi per es. nel IV secolo dopo Cristo o nel 1200 l’insegnamento che deriva dai più grandi momenti creativi dello spirito.
Ma torniamo al discorso sul metodo genetico che consiste nel mostrare come la tradizione della Chiesa sia una tradizione vivente e non rigida, si formi attraverso il travaglio continuo del pensiero, consista nella sua stessa storia, grazie al nucleo originario che si trasforma come sviluppo. A chi sia avvezzo a credere che la Chiesa sia una specie di sovrastruttura cresciuta abbandonando il suo genuino stato originario, questo può riservare una sorpresa. Non abbiamo sentito ripetere, da dentro e da fuori, che la Chiesa “istituzionale” ha dimenticato la Chiesa primitiva, che bisognerebbe tornare alla purezza dei “primi cristiani” ecc.? La fenomenologia di questa contestazione è vastissima e vanta anche da noi nomi e personaggi illustri. Chi non ricorda le accorate apologie di una Chiesa minoritaria, di una Chiesa delle origini, di una Chiesa restituita al suo nucleo primitivo e così via? Al contrario, P.Pera concepisce la Chiesa e il pensiero cristiano come l’articolarsi di una vita continua, sempre più profonda in quanto costretta a scavare dentro se stessa (nei secoli) per proteggere la propria verità essenziale dagli attacchi, dalle defezioni, oppure per misurarsi con le grandi creazioni dello spirito messe di fronte a lei sia come risorse del pensiero sia come sfida da parte del pensiero. E’ dunque una posizione ben diversa da quella dei nostalgici di un tempo storico ideale. Un nucleo ricevuto si è venuto elaborando incessantemente, con il lavoro di scavo della cultura umana.
La questione è che P.Pera privilegia sì un periodo storico determinato, quello che ha elaborato le grandi sintesi del Credo apostolico che poi è divenuto il canone definitivo della dottrina cristiana; ma il suo vero atteggiamento nei confronti del Cristianesimo è un senso vivo dei suoi valori eterni. Voglio dire questo, che le varie posizioni cristiane che si sono richiamate o continuano a richiamarsi a un Cristianesimo ideale, o delle origini, contrapponendo la storia “sporca” a un’epoca idealizzata come pura e originaria, sommergono interamente nel tempo la vicenda cristiana, drammatizzandone perciò il senso storico. Ebbene, uno dei punti fondamentali del pensiero di P.Pera (si badi, di ciò a cui rinviano gli scritti di P.Pera!) è la concezione patristica del carattere tanto cosmico che salvifico di Cristo. Che vuol dire? Che Gesù Cristo è sia il Verbo creatore che il Verbo salvatore del mondo. In altre parole Cristo è il principio (gr. Arché) della creazione tutta, e quindi anche il principio della sua salvezza. Qui è l’idea di eterno che circola in tutte la pagine, direi quasi nello stile di P.Pera. Non c’è un’epoca cristiana definitiva nel tempo storico, fosse pure il tempo delle catacombe o quello delle comunità cui S.Paolo rivolge le sue lettere. Non c’è perché ogni tempo della storia converge egualmente nel mistero della creazione/redenzione, e per ogni generazione che nasce ricomincia lo stesso dono di essere e di essere bene, come cita sovente P.Pera da un Padre della Chiesa, Clemente Alessandrino (e riprendendo anche S.Tommaso). Di qui discende l’universalità di tale concezione (legata anche alla missione cattolica della Chiesa): il Cristianesimo esprime e raccoglie tutto ciò che originariamente non è cristiano (purché compatibile), in quanto appartenga alle diverse tradizioni religiose e culturali precristiane o comunque autonome.
Ma qui entra in gioco un aspetto veramente essenziale del Cristianesimo di P.Pera, che gli viene ispirato dalla consuetudine con i Padri d’Oriente e con lo stesso S.Tommaso. Egli lo chiama anche ottimismo metafisico, contrapponendolo evidentemente alle forme di pessimismo che ripetutamente nella storia hanno cercato di motivare o giustificare l’atteggiamento religioso. Basti pensare che negli anni della maturità di P.Pera si espresse anche il pensiero filosofico-religioso di quello che è stato uno dei maestri (anche mio) più ascoltati all’Università di Torino, Luigi Pareyson. Ebbene, Pareyson è stato in dialogo con pensatori come Heidegger, come Jaspers, come Schelling, come Kierkegaard, come Dostoevskij, come Böhme, traendone un vivo senso del male che lo ha portato a posizioni influenzate forse dal cabbalismo ebraico che negli anni 20 ha visto pensatori tedeschi come Scholem, come Buber, come Jonas concepire il mondo e la vita come una deiezione o caduta o una ribellione rispetto al bene divino che si originano all’interno stesso della vita divina (gnosi alessandrina di B.Valentino). Entrare in merito a questo sarebbe qui complicato (si pensi però all’influenza esercitata su intellettuali da un divulgatore “cattolico” della tendenza gnostica come Sergio Quinzio), ma mi serve il richiamo per far capire come il Cristianesimo di P.Pera sia fondamentalmente contrapopposto ad ogni forma cristiana o no di gnosticismo. Lo gnosticismo nega alle radici l’essere e l’essere bene della su ricordata posizione patristica, perché intende ogni manifestazione della vita storica intrinsecamente negativa, e la salvezza è una liberazione dalle catene di questo mondo in connessione con una divinità debole o impotente (ma poi che tipo di salvezza?). Invece l’ottimismo cristiano a cui fa riferimento P.Pera concepisce l’intera creazione alla luce del bene originario ed essenziale.
Qui entra in gioco un lavoro estremamente importante compiuto da P.Pera quando ha cercato di mettere a nudo le radici molteplici e vive della filosofia di S.Tommaso, riconducendole a un singolare nesso platonico/aristotelico. P.Pera non vide mai nel tomismo un sistema chiuso, per le ragioni che dicevamo sopra. Lo studio da lui posto come introduzione all’edizione Salani della Summa teologica tradotta in italiano rappresenta una inscindibile parte necessaria a tale lettura. Il tomismo è, per usare l’espressione più frequente, una sintesi dinamica, che analizzata mette a nudo le sue molteplici linfe o correnti vitali, sempre per la ragione che il pensiero cristiano è uno sviluppo dal seme iniziale, e tale sviluppo è come un organismo vivente, che aperto rivela la sua storia, fatta di lotte e pericoli e passione e ricerca. Pensiero vivo, che l’atto perenne del pensiero (questa è la vera unica filosofia perenne!) svolge con la sua azione. Certo, si può essere cristiani senza sapere una parola di greco perché è vero che
l’universalità del Cristianesimo consiste nei doni della grazia, nei sacramenti ecc. ma vivere il Cristianesimo nel modo più umano che è nella mente vuol dire incontrare il suo pensiero secolare. Questo svolgimento rivela le sue origini nel travaglio della filosofia greca, a partire dalla grande svolta di Platone. Voglio adesso ricordare che la svolta di Platone consiste nell’aver posto il bene come principio, mediazione e meta di ogni realtà esistente al mondo, sia di ordine fisico che di ordine spirituale.
E’ la Creazione tuttavia il perno della annosa meditazione di P.Pera sull’essenza del pensiero cristiano e questa è la vera chiave di volta per capire il nesso fra Platone e S.Tommaso sia pure attraverso o nonostante le condizioni poste dalla tradizione aristotelica sul punto fondamentale della gnoseologia. Il principio di creazione consente di mettere in luce l’elaborazione del pensiero cristiano nello scontro con le grandi forze culturali (religiose e filosofiche) dei primi secoli, specialmente lo gnosticismo. Infatti direttamente dipendente dal principio cosmico e salvifico di creazione, riconoscibile come Verbo cristico, c’è la condizione di somiglianza divina della creatura, nonché la sua elevazione alla condizione divina. Questo certo sdrammatizza il teatro della salvezza umana perché evita di concepire questa terra e questa vita come un mistero negativo del male ed entra in urto con le spinte culturali dominanti nel corso del XX secolo. Al pessimismo ebraico della tradizione cabalistica P.Pera risponde col richiamo all’universale causalità di Dio come bene, da cui tutto deriva e a cui tutto si indirizza. Qualcuno dirà che perciò manchi una adeguata teologia del male, ma proprio in questo consiste la centralità di Gesù Cristo e del suo mistero cosmico/salvifico. Le teosofie del male che sono allignate nel corso del XX secolo anche sul terreno cristiano certamente muovono dall’abbandono della positività della creazione. Questa è anche una conseguenza della storia della filosofia moderna e della fine delle teo/cosmologie di derivazione classica.
Inoltre il principio di creazione fondata sopra il mistero del Verbo cristico affronta il problema delle vie a Dio che la tradizione cosiddetta pagana aveva elaborato e che il IV secolo aveva rimesso in campo in quella “réaction paienne” (per dirla col titolo di un celebre studio di De Labriolle) che l’imperatore Giuliano organizzò per difendere la tradizione minacciata dall’avanzata del Cristianesimo. La questione può essere sinteticamente espressa così: il trionfo cristiano sul paganesimo religioso non rese “vuoto” il cielo (che la religione mitraica di Giuliano riempiva di divino con le “potenze intermediarie”), perché il Verbo cosmico/salvifico è davvero la presenza di una “direzione” e di una “guida” a Dio attraverso la vita umana nel cosmo e nella storia. Il trionfo del Cristianesimo non distrusse ma rese più efficaci gli sforzi del paganesimo per assicurare quell’operazione che realizza la somiglianza dell’uomo a Dio e che è, secondo il pensiero cristiano di P.Pera, il vero senso del Cristianesimo. Costante è il richiamo al fatto che lo sforzo religioso del paganesimo esprime lo stesso desiderio umano di elevarsi a Dio, che è proprio del Cristianesimo, però il suo volo non ha ali sufficienti e si arresta e dibatte nel limite delle risorse umane. Tuttavia esso ha offerto argomenti importanti alla esplicitazione dei contenuti della Rivelazione.
Qui ritorna quel punto centrale che ricordavo, e cioè l’importanza essenziale del principio di Creazione alla luce del problema della conoscenza di Dio, con la caratteristica dottrina di intonazione aristotelica che lo conosciamo tramite i suoi effetti. Effetti di due tipi, come natura cioè di ragione (creazione), e come grazia (rivelazione). La cultura umana viene così elevata a mezzo per la conoscenza di Dio e qui P.Pera distingue con attenzione fra il pensiero che penetra il senso intelligibile della verità rivelata, e il pensiero che nell’autonomia della ricerca umana cerca la verità con disposizione volta al Dio sconosciuto o intravisto nelle proprie esperienze filosofico/religiose.
La dottrina della conoscenza di Dio tramite i suoi effetti si riferisce, beninteso alla Creazione proprio in quanto il Verbo che dona la grazia è lo stesso che crea la natura. Perciò la nostra conoscenza di Dio, attraverso il pensiero, non è intuizione di ciò che Lui è. La centralità delle lotte del III e IV secolo segnano proprio l’emergere di questa consapevolezza. La posizione cristiana si misura col neoplatonismo di Filone e Plotino da un lato, e l’Arianesimo di Aezio e Eunomio dall’altro.
I neoplatonici spezzano la relazione fra sensibile e intelligibile. Essi svalutano dunque la presenza di Dio nella natura creata e propongono, col distacco totale, il silenzio mistico. A loro volta gli ariani sostengono una conoscenza umana intuitiva di Dio stesso così come egli è (Aezio elabora la nozione di agennhtoV, ingenerato, in opposizione a quella di autogennhtoV, autogenerato) che era alla base delle soteriologie gnostiche.
Qui P.Pera mette in luce attraverso lo studio del pensiero di Dionigi (pseudoareopagita), attribuito alla scuola teologica di S.Basilio, il concetto di una conoscenza positiva di Dio come Causa immanente alle sue opere, e una conoscenza negativa di lui in se stesso, quella sublimissimae cognitionis ignorantia che avviene nell’esperienza unitiva dell’amore.
m.c.