I.P.S.E.G. | Istituto Piemontese di Studi Economici e Giuridici
Via Bertola, 2 - 10121 Torino
Creazione e Anticreazione

Creazione e Anticreazione

Numero 72 – Febbraio 2002

Per molti oggi la poesia di Pound rappresenta l’affermazione forse più originale, nel XX secolo, della missione poetica nell’esistenza umana. Pound elaborò una concezione “totale” della poesia (forse di derivazione futurista), che cercava di superare le contrapposizioni di “contemplazione” e “azione”, di “soggettivo” e “oggettivo” ecc., recuperando il senso del mito antico, il cui luogo reale, attivo è appunto la stessa poesia. Quella dei Cantos è sovente una condizione di èstasi. Se leggiamo il Canto CXIII, per esempio, troviamo:

“And in thy mind beauty, O Artemis/Daphne afoot in vain speed./When the Syrian onyx is broken/out of dark, thou, Father Helios, leadest,/but the mind as Ixion, unstill, ever turning”.  [Trad. “E nella tua mente bellezza, O Artemide/ Dafne corre invano./ Quando l’onice di Siria è spezzato/fuori dal buio, tu, Padre Sole, ci conduci,/ma la mente come Issione, instabile, sempre si gira”.]

Tutti i maggiori poeti italiani della generazione contemporanea gli sono in qualche modo debitori. Ma la conseguenza più importante del magistero poundiano è stata la disposizione ad assumere il mondo e l’umanità nello spazio solare della bellezza. La poesia dopo Pound non solo non rifiuta nulla del mondo, ma si fa carico dell’intera vicenda umana, senza presunzione e senza disdegno o risentimento. Essa riprende così una disponibilità a capire, ad accettare, a riscattare e nobilitare esteticamente, che è stata invece assente in alcune notevoli esperienze poetiche, di natura opposta. In tal senso la storia della poesia del Novecento può anche venire interpretata attraverso l’antitesi tra due tendenze. Da noi in Italia la poesia di Montale (una delle più intense fra quelle che attraversano gli anni centrali del XX secolo) può essere letta come esemplare di una tendenza a far di essa il luogo di un ritirarsi, di una mancanza, dove la crisi si acuisce attraverso le risorse della parola. Tale tendenza rivela, al contrario di quella poundiana, un rapporto con la vita fondamentalmente ambiguo.

Fra le tarde poesie di Montale ve n’è una singolare, forse meno nota. S’intitola L’hapax (1976). A tutti è noto che l’hapax legomenon rappresenta l’unicità di un termine in uno spazio linguistico. A cosa qui si riferisca è evidente.

  1. «E’ scomparso l’hapax

l’unico esemplare di qualcosa

che si suppone esistesse al mondo.

Si evita di parlarne, qualcuno  minimizza     

l’evento, l’inevento. Altri sono aux abois       

ma la costernazione è prevalente.     

Fosse stato un uccello, un cane o almeno un uomo

allo stato selvatico. Ma si sa             

solo che non c’è più e non può rifarsi.

  1. Per destare dal sonno i suoi scherani

il diavolo decise d’intervenire.

La sua speranza era l’armistizio: vincere

per lui sarebbe stato un grosso impaccio.

Se in principio era il verbo non occorrevano

solo armi ma bisticci

(di parole, s’intende). Vinca il peggiore

ma non c’è fretta per ora.

  1. Non so se Dio si sia reso conto

della grande macchina da lui costruita

un errore di calcolo dev’essere alla base

dell’universo: tanto è lungo il suo

edificarsi e rapido il suo crollo.

C’era qualcosa dapprincipio, poi

venne il tutto, vacuo e imprevedibile.»

La poesia di Montale (quella citata  appartiene evidentemente agli anni della tarda maturità del poeta) rompe con una concezione che invece in D’Annunzio lirico faceva la poesia perfettamente autonoma e come sufficiente a se stessa: libera cioè dalla subordinazione alla realtà storica perché il linguaggio, dominio della poesia, emancipa la poesia da ogni dipendenza, essendo la parola il principio, l’azione, il nominante creativo. Questo aspetto della questione va tenuto presente, per capire sul serio la differenza tra diverse concezioni dell’attività poetica. In generale, l’inizio del secolo è segnato dalla reazione artistica alla insignificanza cui l’arte è relegata dal mondo moderno. La rivoluzione futurista rappresenta, con la pretesa di assolutezza, l’iconoclastia logico-sintattica e la polemica contro l’io poetico, il tentativo di riaffermare non solo l’indipendenza dell’arte ma anzi la sua funzione generatrice della vita stessa.

La poesia di Montale non muove da questi presupposti. L’origine del suo mondo letterario è pascoliano-crepuscolare e quindi sta in rapporto al lirismo d’annunziano in termini di amore/odio. Questo significa che la parola per Montale proprio perché esule al mondo reagisce in termini di ritirata e risentita contemplazione, e non di rivendicazione del proprio ruolo d’azione (azione in senso, si capisce, estetico-spirituale). Il punto da approfondire è certamente questo, perché presuppone,  rispetto all’emancipazione o assolutezza della poesia nei riguardi della realtà storica, una relazione invece altamente problematica.

 

L‘assolutezza della poesia, rivendicata da D’Annunzio (vedi per es. “Il fanciullo” dell’inizio di Alcyone), significa in sostanza che la poesia coincide con la vita, in modo ben più originario e creativo di come comunemente tutti noi percepiamo la realtà. Potremmo definire tale concezione della poesia in termini di creazione, di prolungamento della felicità della creazione, di opera creativa che concorre con la creazione originaria di tutte le cose, e questa come evento di bellezza, grazia e armonia. La pèrdita dell’armonia altro non è che lo smarrimento della felicità poetico-creativa. Si può dubitare di questo potere assegnato alla parola, ma non si può intendere la poesia di D’Annunzio al di fuori di questa intuizione fondamentale. La poesia è il cuore dell’essere, perché in essa prosegue la felicità creativa originaria (divina). Il mondo storico la isterilisce, la inaridisce nel suo utilitarismo volgare. Però la poesia agisce nel mondo storico per riscattarne l’aridità e chiama in causa tutte le opere umane nel segno della bellezza.

 

Invece le intense, concentratissime architetture di Montale, date come frammenti, si collocano al polo opposto di un’idea di creazione: la sua è un’ispirazione che fa nascere la parola nel punto di crisi, sommersa in un tempo storico avulso dalla bellezza e dalla grazia creativa. Dio è completamente fuori della creazione e la loro separazione rende il mondo opaco, persino virtualmente demonico. Così la stessa realtà storica non è che la traduzione fatale di una originaria assenza. Ricorre il richiamo di forti valenze pascoliane ma non di tutte, perché almeno la natura per il poeta romagnolo possiede una originaria innocenza. Spesso i paesaggi di Montale sono l’analogia del soffrire il male dello spirito che soffre l’uomo. Né il pensiero può ricorrere tanto facilmente a Leopardi. L’indifferenza della natura per Leopardi nasce sulla meditazione del naturalismo antico, sull’opposizione democritea tra jusiV e  mondo umano. In altre parole la natura per Leopardi è il vero, del tutto indifferente al problema del significato, al di là della vita, della morte e degli dèi. Alla natura per contro si oppone il mondo umano con le sue illusioni, che sono causa del dolore. Il mondo per Montale invece è un chiuso labirinto separato da Dio, o contrapposto all’ipotesi della sua esistenza. Qui contano piuttosto certe percezioni del simbolismo francese, che orienta l’arte nelle regioni del disfacimento: paesaggi e mal de vivre baudelairiani, l’enfer di Rimbaud, il nichilismo di Mallarmée.  Naturalmente la poesia di Montale appartiene a un’altra stagione e abbandona totalmente l’illusione estetica (o la salvezza dell’estetismo).  Perciò la poesia non crea bellezza, ma in un certo senso ne dice l’assenza.

 

La poesia di Montale è suggestione di sottrarsi al mondo. La storia è spessore opaco e solo ciò che si ritira dal mondo trova salvezza. Non possedendo l’intuizione della creazione (della creazione positiva) come profonda continuità tra mondo e poesia, tra essere e poesia, Montale intende la poesia come un gesto di riserva nei riguardi del mondo, o addirittura come allusione a una salvezza dal mondo. Perciò la poesia non agisce nel mondo e lo lascia sempre esattamente così com’è, senza possibilità di riscatto, preoccupata di non lasciarsi contaminare. Il tono è di risentimento  morale (o, se si vuole, spirituale), e questo determina il colore particolare della  (tarda) ironia montaliana. Intonazione etica, anziché estetica: ma dire questo è improprio, perché tutto resta immoto davanti a una sostanziale reticenza, non c’è lotta o missione da compiere, e la poesia è una semplice obiezione, o se si vuole la voce di un altro eone temporale.

Anche la bellezza soccombe a questa obiezione. La suggestione del bello è confinata a figure che non sembrano appartenere a questo mondo.

L’istanza “religiosa” della poesia di Montale non è che un drastico venir meno di “dio” al mondo e in questo senso essa è all’opposto del cosiddetto panismo o dionisiaco (d’annunziano e altro). Una delle più intense liriche montaliane, Piccolo testamento (una delle due conclusioni della Bufera), dice “una storia non dura che nella cenere/ e persistenza è solo l’estinzione“. Una suggestione gnostica lo spinge agli estremi confini del mondo e altresì a una distanza fra sé e gli altri quasi inappellabile. La tenerezza femminile, così viva in lui, gli consente di volgere il suo io a dialoghi d’intesa con figure predestinate, non di questa terra. Il culto del femminile rappresenta per Montale forse l’estremo retaggio d’annunziano (o generalmente décadent), nell’eccezionalità o unicità sublime delle Clizia/Iride, Volpe o Arletta. Vi ricorre l’ambiguità angelico-demonica della donna, ma non mai l’eros. Il femminile non possiede la gioia o il destino del generare. Anche l’allusione al sacrificio è proiettata esclusivamente in zone introvertite. Si è detto di un possibile “cristianesimo” di Montale. Però, a differenza della Mila d’annunziana della Figlia di Jorio, il sacrificio è forse solo una  consumazione individuale emblematica, non ci sono in realtà vittima e salvati e tutto resta sempre uguale a se stesso.  Né pare che l’io poetico si dia al travaglio di una vicenda di colpa e di perdòno (Dante, Eliot, Pound).

Un anticlassicismo culturale, nonostante tutto, fa da sfondo al suo gnosticismo, il quale peraltro è tanta parte della suggestione esercitata dalla sua poesia.

m.c.

Comments are closed.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi